Addio Nisida - Rostro 1956

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Pronti per le Scuole Basico-Avanzate.

“…Sapienza, dissi dove son le porte
che menan nel girone successivo?
Perché io qui son morto, più che vivo…”
                       (Inferno – Canto VI°)
 
Era un giorno d’estate, eravamo appena rientrati dalla crociera aerea e ci apprestavamo a fare le valige per andare a casa in licenza.
Avevamo ancora fresco il ricordo di ciò che era accaduto durante quel viaggio scomodo, svolto su due C-119 e, soprattutto, delle perenni ristrettezze finanziarie che avevano purtroppo condizionato il godimento delle poche serate libere da impegni ufficiali passate nelle prime città europee da noi visitate, dove avevamo speso tutto il modesto anticipo in denaro che ci era stato dato, per fare qualche colpo di vita.
Invero, eravamo si e no al primo terzo del viaggio e la mancanza di contanti fu tale da indurci ad inviare il nostro Capo Corso a parlare con il Comandante, nella speranza di indurlo a scucire un po’ di soldi dello stipendio di Aspirane che ognuno di noi aveva accumulato nel proprio conto personale, gestito dal Comando di Corso.
E siccome la maretta del mugugno minacciava di montare, fummo tranquillizzati da uno dei nostri ufficiali accompagnatori che, a nome del Comandante, ci assicurò che la nostra richiesta sarebbe stata accolta (“Che diamine! Lorsignori stiano tranquilli, siamo consapevoli che la crociera è un evento unico”) e che ci sarebbe stata erogata una somma pari a una mesata di stipendio.
Solo che si trattava, sì, di una mesata, ma da dividere tra tutti i 48 esponenti del Rostro.
Come era ovvio, avevamo attribuito la colpa della nostra crisi finanziaria alla mentalità sparagnina del nostro Comandante, che ci sembrava inaccettabile avendo visto le folli spese alle quali lui e tutto lo staff dei nostri accompagnatori si erano abbandonati in un momento di shopping presso un P – Ex americano dislocato in Germania, dove noi avevamo potuto comprare si e no un paio di pacchetti di Pall Mall.
Come al solito, reagimmo a modo nostro ingoiando il rospo, ma esprimendo un deciso dissenso cantando ogni tanto, una canzone allora molto in voga, dal titolo “Eso es el amor”, i cui versi, da noi riadattati, dicevano:

“Pochetto, Bandiera
Spagetto, Crociera
Rubati i dineros
Rubati al Beccon
Eso es el Amor.
Sissegnor.“

Ai laici che leggessero queste righe va precisato che Spaghetto era il soprannome del Segretario del Comandante in 2° nonché Capo Crociera e Bandiera, così indicato in quanto nelle manfrine assumeva il ruolo di Comandante del gruppo Bandiera, era il nostro insegnante di Navigazione Aerea, unitosi a noi a garanzia che il nostro viaggio non fosse un mero divertimento, ma una ghiotta occasione per imparare le tecniche di rientro in rotta, tecniche che erano sempre miseramente fallite in tutte le precedenti lezioni svolte con lui sull’aula volante.
Pochetto era il terzo membro di questa ineffabile Trimurti che in Germania aveva speso non so quanti fantastilioni di “pfund” (così avevamo storpiato il nome della moneta locale, che noi vedemmo poco) per acquistare di tutto, incluso un set di borsone da viaggio per contenerlo.
Ma torniamo alla storia.
Ci stavamo barcamenando tra gli scaffali del corredo per prelevare le ultime cose da mettere in valigia, quando sentimmo frusciare gli altoparlanti, segno che le alte sfere ci stavano per comunicare qualcosa.
Come al solito, si udirono delle scariche, due o tre colpetti sordi sul microfono, una voce in sottofondo che chiedeva: “Hueee Genna’, se sente?” e poi lo speaker che ordinava:
“Il Sottotenente Mombelli si recasse dal signor generale Comandante!”.
Lo so, in un caso del genere in tutte le altre regioni d’Italia il verbo recarsi sarebbe stato coniugato più correttamente nel congiuntivo presente.
Ma noi che avevamo dovuto studiare a fondo il napoletano sapevamo che il semplice congiuntivo presente il fatto di andare a rapporto dal Capo Supremo l’avrebbe reso un invito eventualmente differibile, se non addirittura opinabile (un po’ come a Napoli è in genere considerato lo stop a semaforo rosso), mentre nella fattispecie, l’uso del congiuntivo imperfetto aveva una funzione rafforzativa per dire  che l’ordine di andare a rapporto era pe-ren-to-rio, un ordine elevato al quadrato.
(Questa, signori, è consecutio temporum d’un idioma evoluto, mica quei pochi suoni gutturali che il Bertomino emetteva allorché arrivò per la prima volta a Nisida, rotolando giù a valanga direttamente da una  pista della Val Camonica sulla quale stava sciando, distratto da un piccolo grillo che lo fece cadere).
Mentre tiravamo un sospiro di sollievo in quanto la comunicazione non aveva, per il momento, riguardato una sempre possibile sospensione improvvisa della licenza, notammo che al nome del Capo Corso era stato associato un grado inusuale, quello appunto da Sottotenente.
Intanto che il Giaguaro galoppava a spron battuto verso la palazzina rosso pompeiano dove  l’Intramontabile Wanda aveva l’ufficio, tra le camerate e l’area corredo si levò un coro di domande.
Cosa mai voleva da noi l’Autore del famoso melodramma, il cui titolo mi sfugge (sono trascorsi cinquant’anni!), nel quale però ricordo che si erano splendidamente esibiti i famosi Cantori di Nisidberga?
Bertomino, tanto per non perdere la pratica della sua madrelingua celto.- camuna, stringata ed essenziale, emise una serie di aiah aiah aiah che andavano dal tono del si a quello del do, grattandosi intanto il poderoso capoccione che tanto aveva preoccupato la levatrice quand’era nato e il cui diametro era tale da obbligarlo ad utilizzare ben quattro getti delle docce collettive per farsi uno shampoo decente.
Er Parakù, abituato alle ipotesi più ardite, azzardò: “Anvedi che ‘st’impuniti de Roma forze se sso ddati ‘na mossa e c’hanno mannato davero li gradi”.
Al che Dente de Fero, che ancora ricordava con quanta lentezza burocratica Superaereo aveva perfezionato la nostra nomina ad aspiranti, guardò ironicamente il collega e, dopo un regolamentare “kramento!” (invocazione dell’homo  erectus stanziale nella Val Policella), invitò il collega ad andare senz’altro  in un luogo che nelle tre Venezie va per la maggiore, e dove er Parakù sarebbe anche andato, se non avesse avuto già in atto un movimento dalle parti di Cinecittà (movimento che poi in verità si risolse, per sua stessa ammissione, in una cosa diametralmente apposta a quella cui Dente de Fero aveva pensato.
Pippo, interpellato dal Clep sui possibili motivi dell’annuncio testè ascoltato, strizzo gli occhi e masticò tra i denti un ”Penzu e ripenzu e tuttu m’assottigghio”, ma probabilmente aveva ormai il pensiero alle isole Eolie, e su ciò che si sarebbe impegnato colà ad assottigghiari.
Vicì (con la V come Bologna), subornato dalla ipotesi ottimistica parakulliana, che era sempre un’ipotesi, ma praticamente irrealizzabile, si risolse ad andare a chiamare Only You, che s’era rintanato chissà dove a fare una penichella in modo da arrivare fresco e tosto nella caotica metropoli di Pignataro Maggiore, da non confondere con l’altra Pignataro della canzone, quella senza l’aggettivo, che non era ancora stata toccata dalle speculazioni edilizie ed era ancora un piccolo borgo a misura d’uomo, e sperabilmente per lui, anche di donna.
Non appena lo trovò, lo svegliò con un “isci aaarint figlio bell’e papà, ch’aggio addorato o fieto doo miccio,” convinto che stavolta qualcosa davvero bollisse in pentola.
Il Glack non profferì verbo, ma divento rosso fuoco, segno che era andato “in tun baluuun” e che stava pensando intensamente per dire la sua matura opinione più tardi.
Invece l’A – A – A - Andrea, portato per carattere a stra – stra – stra - battersi di quelle che lui chiamava ca – ca – ca – ciarate sterili, era ormai tutto preso dall’appuntamento che avrebbe presto avuto con la contessina Serpelloni Mazzanti Viendalmare (l’amica di Fracchia, quella del ramo estense decaduta ripetutamente dai letti della servitù nel suo avito maniero euganeo). Per intanto, lui a – a – a - vrebbe co – co - continuato a preparare la va – va - va.ligia, avendo altro per la te – te – testa.
Amos, non essendo sottomano il resto del Sinedrio, non se la sentì di assumere posizioni ufficiali, preferendo restare in cauta attesa degli eventi, pur dichiarandosi, al momento, non orientato alla sfiducia.
Aster, invece, sfiduciato da  tutti gli eventi iellati che lo avevano accomunato ai Gufi nei duelli persi con Tedone, restò imperturbabile, ma intimamente non altrettanto orientato alla cauta fiducia espressa dal Capo del Sinedrio.
Del Duo M non si seppe mai l’opinione, in quanto Spring era in Infermeria a farsi dare non so che pomata che il Bacillo non aveva nel suo armadietto, dove teneva molti medicamenti prodotti dai frati camaldolesi, che erano inutili in caso di situazioni patologiche più secolari, come quelle di cui soffriva Spring. E quanto a er Collaudatore, ci fu detto che stava facendo un salto da Coruzzolo per cambiare la sua sciabola, che era risultata un po’ più corta di quella di Zampino, fatto che non lo faceva dormire di notte. Non vedeva l’ora che qualche ragazza gli dicesse, finalmente: ”Mizzica, signor tenente, che sciabola lunga…! “
Toni Franciosa, tardando il Giaguaro a tornare con notizie certe, era molto preoccupato che qualche imprevisto gli potesse impedire di fare il ciclo di cure per la sua gamba zoppa ciclo che aveva già prenotato presso l’avanzatissimo ospedale di Pievepelago, dove sarebbe stato seguito dallo stesso luminare che, l’anno prima, aveva rimesso a nuovo la gamba di Spalla di Vetro, bucata da una Luger scarica.
Questo fu, grosso modo, il campionario delle reazioni che avemmo quel giorno, entro l’inviluppo delle quali si collocarono quelle del resto del Corso, prova della ricchezza delle idee che esternavamo in libertà, salvo interventi del gonio con la g minuscola, quello che si metteva a suonare in automatico quando parlava l’altro Gonio, con la G maiuscola.
Aggiungo solo, per completare, che il Mirko, che aveva da fare un lungo viaggio fino a dove lo aspettava la sua “mula” alle porte di Dubrovnik, pensò bene di precipitarsi a sospendere l’ordine di decollo della missione di scorta al treno da lui emanato alla sua fedele Squadriglia delle Ogive Rosse, perché era convinto che forse un’altra ogiva ad hoc gliela stesse già preparando, al solito, il Comando Accademia.
Ma a dimostrazione che a Nisida anche l’ipotesi più strampalata poteva prima o poi finire per verificarsi, al ritorno del Giaguaro dal rapporto ad limina, constatammo che chi l’aveva azzeccata era stato per la prima volta quello del movimento a Cinecittà, perché il Giaguaro aveva con sé una scatola di gradi e spalline da Sottotenente, accompagnati dalle più vive e calorose congratulazioni del Number One.
Saremmo andati a casa da Sottotenenti.
Nella subitanea euforia, credo  che nessuno di noi, in quel momento, abbia trascurato di pensare a tutto ciò che avevamo passato per giungere a quel traguardo.
Non più esami, studio obbligatorio, celle, consegne, libere uscite dalle 15 alle19 quando d’estate le ragazze stavano tappate in casa, trasferimenti al passo, passati di legumi provenienti dagli aiuti U.S.A. all’Europa, giri di corsa, siringate di antitifiche, Guaiacalcium, corvette, campi d’arma ed altre attività amene che avevano cadenzato il nostro iter di formazione ma che, nonostante tutto, non erano riusciti a farci perdere il nostro buon umore.
Tutto era finito, ed eravamo orgogliosi e felici di essere stati capaci di portarlo a conclusione.
Mentre ci ammucchiavamo attorno al bancone dei corredisti, con le giacche della divisa tra le mani, impazienti di farci cucire i nuovi gradi, e il pullmann ci attendeva davanti al corpo di guardia per portarci alla stazione ferroviaria, eravamo assai lontani dal pensiero che quella conclusione, vista con sollievo, sarebbe stata il prodromo della ormai prossima dispersione del Corso Rostro tra i diversi reparti operativi dell’A.M., che avrebbe segnato anche la conclusione della nostra vita in comune.
Certo, la culla di Nisida e gli ostacoli che ci aveva fatto saltare erano stati importanti per il nostro processo educativo e formativo, e in fondo al cuore nutrivamo sincera gratitudine per la nostra Casa Madre.
Ma forse già allora avevamo intuito che Nisida da sola non sarebbe bastata a farci diventare quello che sentivamo di essere, un gruppo fortemente compatto, tenuto insieme da un comune collante fatto di ideali, di stima e di amicizia reciproca.
Riandando col pensiero ad allora, c’è da chiedersi come sarebbe stato il Corso Rostro se in quella sera di preludio all’inizio vero e proprio della nostra vita aeronautica il Pegaso non ci avesse sfidato.
E se il nostro iter formativo fosse stato più facile, senza qualche illogicità che ci aveva spinto ad organizzarci, senza un certo numero di divieti assurdi e tali da indurci a reagire e ad arrangiarci, c’è nuovamente da chiedersi se mai avremmo avuto lo spirito di forte aggregazione, quel pizzico di irriverenza quanto bastava, la capacità di trovare le soluzioni più convenienti per non veder mortificata la nostra individualità, l’autosufficienza nel gestirci, la solidarietà più incondizionata, e tutte le altre caratteristiche che ci sono sempre state riconosciute.
Ora che siamo ad un punto della vita in cui si fa qualche bilancio, siamo consapevoli del fatto che tanti fattori esterni, consapevolmente o meno, hanno fatto moltissimo per il processo formativo di ciascuno di noi, ma che ad orientare e a dare compiutezza e solidità a questo processo in senso veramente collettivo siamo stati tutti noi messi insieme, infrangendo con il rostro la avversità, come recita il motto latino marcato sul nostro labaro, col rostro e con il Rostro, tanto per intenderci meglio!
Per questo oggi siamo ancora insieme, insieme anche a quelli che fisicamente ci hanno dovuto lasciare pur restando nei nostri cuori.
Un’ultima annotazione, prima di chiudere.
Non mi stupirei se, fra moltissimi anni, anche il Comandante del vero Superaereo trovasse giustamente da ridire per le frequenti pensate del Rostro, ritenendole pericolosamente suscettibili di portare troppe turbative alla quiete turchina,  e decidesse di prendere qualche provvedimento.

 
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