Ciak si gira - Rostro 1956

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L’ordinata Accademia venne sottoposta ad una vera e propria foga creativa, quando a Nisida fu girato il film aviatorio pomposamente intitolato “Dinnanzi a Noi il Cielo”.
Di botto, si trasformò per giorni in un caotico set, con cavi elettrici e lampade da 5000 watt in ogni angolo, col regista che dava ordini concitati col megafono, mentre noi salivamo e scendevamo le scale della palazzina allievi in continuazione, una volta per girare la scena dell’adunata in divisa da libera uscita, un’altra per cambiare tale uniforme con quella estiva da lavoro per le riprese in sala mensa, un’altra ancora per indossare la tuta da volo o da ginnastica, e via di questo passo.
Dopo due o tre giorni di continue ripetizioni di scene, di cambio di divise e di marce di trasferimento, di fare le comparse non ne potevamo più e non vedevamo l’ora di tornare alle nostre primitive rogne quotidiane. Sicché tra noi la marea del dissenso cominciò a  montare, tanto più che le attrici, nonostante le promesse, non si erano mai degnate di farsi vedere. Per contro, avevamo sempre tra i piedi i due giovani attori, ed era colpa loro se molte riprese dovevano essere rifatte, dato che ignoravano come si marciava, come si salutava e come si faceva qualunque cosa da allievo dell’Accademia, e dovevamo insegnare loro tutto di tutto.
E allora, ci mettemmo d’accordo per dare ai due finti allievi un’ultima lezione.  
Mentre stavamo girando per l’ennesima volta la scena di una spinguinatura, invece di fermarci allo stop del regista, continuammo nell’azione, decisi a dipingerli dalla testa ai piedi per davvero con alcune scatole di crema nera da scarpe sottratta dagli stipetti delle nostre toilette.
Quando le vittime designate intuirono le nostre intenzioni, diedero segni di forte apprensione. Nella confusione generale nessuno, né il regista né qualcuno degli ufficiali presenti, avrebbe potuto superare la nostra barriera per toglierceli per tempo dalle grinfie.   
Ma per loro fortuna e con nostra sorpresa ci accorgemmo come il protagonista, che da vestito pareva abbastanza macio, in pratica lo fosse solo in virtù dei vari maglioni che aveva indossato per apparire più prestante e muscoloso.
In realtà, quando lo riducemmo a mezzo busto ed ormai rassegnato a pagare lo scotto, lo trovammo minuto e inerme come un coniglietto d’angora appena tosato, tutto ossa e pelle rosea.  
Uno così non si poteva certo spinguinare, né potevamo fare due pesi e due misure con il suo collega, più o meno emaciato come lui. Per cui, tra lazzi e frizzi, li lasciammo andar via entrambi indenni, con gran sollievo dei nostri ufficiali.
Non si dica mai che il Rostro sia stato incapace di misericordia verso i più gracili.
Che dinnanzi a questi due ci fosse stato il cielo, come era garantito dal titolo del film, potevamo anche capirlo, considerata l’avvenenza delle attrici prescelte. Avremmo però stentato a credere, visto il modesto calibro dei loro due principi azzurri, che qualche cielo potesse aprirsi anche dinnanzi alle loro due fidanzate, all’atto del concreto coronamento delle loro storie d’amore.   
Ma, detto tra noi, se al posto loro ci fossero state le due protagoniste le avremmo invece sicuramente spogliate e dipinte senza pietà, magari solo per ragioni di principio e per punirle d’averci snobbato.     
Per inciso, ritengo di dover ricordare a chi dei nostri lo avesse dimenticato che quel canto da noi inventato e spesso cantato nel pullman che ci portava a Pomigliano d’Arco, quello cioè che presuntuosamente asseriva: “….un bel corso come il nostro no non c’è…”, divenne il tormentone della colonna sonora del film, e fu utilizzato per sottolineare le scene  più importanti della  storia di eliche e amori partorita, in un momento di particolare vena creativa, dal Maestro Savarese.
Il Corso Rostro sta, tuttavia, ancora aspettando i diritti d’autore.
                                                                   

 
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