Pingue allo Sparviero - Rostro 1956

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2° Anno
 
                 LA FESTA DEL PINGUE                                                                    
 
Intanto, a suon di giri di corsa e di turni di consegna, era iniziato il nostro secondo anno accademico e ci eravamo finalmente elevati di un piccolo gradino al di sopra della cosiddetta categoria dei "Loro non sono Nessuno", alla quale avevamo appartenuto per tutto l'anno precedente.
Eravamo cioè diventati gli scafati anziani, lasciando il poco ambito titolo di ultimi arrivati al Corso Sparviero 2°.
Ma ai vantaggi di essere un po' meno tartassati dagli Scelti e dagli Ufficiali addetti all'inquadramento, per noi si erano aggiunti, in forza della tradizione accademica, altri nuovi impegni da onorare.
Avremmo dovuto in primis essere d'esempio per puntualità, per disciplina e, soprattutto, per spirito di Corso, essendo più anziani nei confronti dei pingui e, quindi, con maggiori responsabilità, ma anche assolvere altre incombenze, una delle quali era la tradizionale Festa del Pingue da organizzare in tempi brevissimi, con la quale avremmo dato benvenuto agli Sparvieri e concluso in fratellanza le spinguinature nei loro confronti.
Si trattava di realizzare un ricevimento pomeridiano con balli, rinfreschi e baciamani a destra e a manca, cui intervenivano le massime autorità civili, l'intero quadro permanente con in testa il Generale Comandante e numerosissimi ospiti e parenti degli allievi.
Nel momento topico di tale evento, dopo una rullata di tamburo del batterista dell'orchestra, il Capocorso degli Anziani avrebbe solennemente "passato in consegna" coram populo al Capocorso del 1° Anno un pinguino ligneo vecchio quanto il nostro Massimo Istituto,  quale simbolo dei doveri assunti con l'arruolamento.
Il pinguino, infatti, è uccello incapace di volare con le sue alette atrofizzate. Ma i pinguini dell'Accademia invece le ali da svariati decenni le sviluppano eccome, grazie ai programmi di...."mutazione genetica" ideati da Mamma Aeronautica.
Naturalmente, sapevamo tutti che in tale occasione avremmo dovuto dare prova della nostra reputazione di Corso non solo assai bene amalgamato, ma anche capace di realizzare qualcosa di più di una semplice festa danzante, vivace e divertente.
Dovete sapere che in quegli anni il Comandante dell'Accademia era un prestigioso Generale, un Signore nel vero senso della parola. Nessuno di noi lo aveva mai sentito alzare la voce, perché la sua figura calma e compassata, circondata dal deferente sussiego di chi lo accompagnava, nonché la sua uniforme con i numerosi nastrini del suo curriculum aeronautico sopra il taschino bastavano a trasmettere a tutti un senso di autorevolezza e nel contempo di naturale ed elegante cortesia.
Aveva assunto l'incarico proprio mentre eravamo ancora in abiti civili a Nisida per gli esami di concorso e, dopo il nostro arruolamento, i nostri primi orgogliosi pronunciamenti e le nostre prime dimostrazioni di unità e di spirito di Corso in eventi sportivi e in molte altre situazioni, aveva confessato alla sua cerchia più ristretta di collaboratori di avere simpatie per il Rostro, da lui tenuto a battesimo.
Aveva detto che gli piacevamo perché eravamo vivaci, combattivi e determinati, anche a rischio di essere puniti.
Quando lo incontravamo, noi allievi - cui già un Capitano metteva grande soggezione - avevamo l'impressione di essere di fronte ad un padreterno inarrivabile.
Aveva l'abitudine di farsi accompagnare da un barboncino bianco, mansueto come il padrone, che gli zampettava dietro senza mai allontanarsi più di un metro da lui.
L’intera Accademia a quel tempo operava sulle direttive generali emanate dal Comandante, ma l’attuazione pratica delle stesse era affidata ad un Colonnello, Comandante in Seconda, che nella fattispecie avrebbe presto rivestito il grado di Generale di Brigata Aerea.
 
Egli si distingueva dal Numero Uno quale persona dinamica e severa, cui nulla sfuggiva di quanto accadeva sotto di lui. Era continuamente in giro per controllare di persona il perfetto funzionamento di ogni settore, affinché tutti gli elementi del contesto concorressero puntualmente al perseguimento degli obiettivi di programma, dalla didattica alla logistica, dallo sport alla disciplina e alle attività di volo.
 
In pratica, era in ballo dalla mattina alla sera, domeniche comprese, rese vivacissime in quanto in esse si svolgevano le competizioni sportive tra i Corsi, con gare individuali e di squadra.
 
Degli eventi con rilevanza esterna, come ad esempio le parate, sovrintendeva a tutte le prove, trovando sempre i tempi ed i modi per perfezionare ogni piccolo dettaglio. Era capace di farci ripetere più volte un movimento di parata fino ad ottenere da tutti, ufficiali e allievi, la perfezione assoluta.
Anche lui, girando a passo spedito tra una palazzina e l’altra, si faceva accompagnare da un cane pastore scozzese agitatissimo e sempre col motore in moto, proprio come il suo padrone.
Mentre l’intero battaglione allievi era schierato sul piazzale in una delle innumerevoli adunate quotidiane, ci eravamo divertiti spesso a sbirciare questi due fedeli amici dell’uomo, così diversi tra loro tanto quanto lo erano le due figure di vertice.
Infatti, nelle occasioni in cui i due cani si incontravano sul piazzale, il barboncino assisteva impassibile alle scorribande sguaiate del collie e non perdeva mai la sua compostezza, come se non lo volesse degnare di una qualche attenzione.
Ecco gli antefatti da cui partimmo per animare la Festa del Pingue.


 

 
 


Nell'anno 1957, avemmo l'idea di scrivere e mettere in scena al Circolo Ufficiali di Nisida, sede della Festa del Pingue, addirittura un copione teatrale in atto unico, in cui si raccontavano le avventure di due allievi del Rostro, inviati in missione esplorativa sulla Luna.
La nostra idea era che, sulla scena, essi si incontrassero con due lunatici frequentatori del loro satellitare Istituto di formazione, coi quali si sarebbero sfogati raccontando loro cosa avessero dovuto sopportare pur di diventare aviatori.
Era un modo ardito per sceneggiare quella che poi sarebbe stata una bonaria critica goliardica espressa però col garbo di una parabola, da noi in seguito chiamata appunto la Parabola dei due Padroni e dei due Cani.
Quest’idea creativa, del resto, era in linea col nostro carattere, fermo nel rispetto delle tradizioni, ma anche proteso a distinguersi in quanto il Rostro era di fatto un ventesimo capostipite involontario, aggiunto ai 19 iniziali.
Il giorno della Festa, dopo molte fatiche e libere uscite sacrificate per fare un evento degno di noi, su una larga pedana piena di crateri alternativamente fumanti e  simulanti l'ignoto suolo lunare, ad accogliere autorità ed invitati si ergeva, imponente, un poderoso razzo targato Rostro, da noi realizzato con quintalate di fogli protocollo relativi a tutti i concorsi ed a tutti i compiti scritti dei Corsi regolari a partire dal Corso Aquila fino al Pegaso 2°, modellati a mano con acqua e collanti nella forma ideata da Von Braun per le V2.
In un assorto silenzio degli astanti e alla augusta presenza del Signor Generale Comandante e del Signor Colonnello Comandante in Seconda, ebbe inizio l'attesa rappresentazione in prima assoluta. Si sentirono i due allievi in tuta anti G e con casco da pilota in testa, garbati prestiti dei nostri ufficiali d’inquadramento, raccontare ai due colleghi lunatici con la testa adornata dalle due antennine di prammatica, la storiella del Padrone grosso che aveva un cane piccolo, e del Padrone piccolo che aveva un cane grosso.
Tra le numerose battute satiriche che andavano a toccare tutto l'establishment docenti compresi, veniva garbatamente messo in chiaro che, almeno in ambito canino, l'autorevolezza sulla terra fosse inversamente proporzionale alla taglia.
Le due Signore che più sembravano divertirsi erano, per la verità, proprio le gentili consorti delle due figure prese di mira, e così fecero anche i loro stessi mariti.
Tutti applaudirono tantissimo e fummo riempiti di gesti di grandissima simpatia.
Peraltro, noi ci impegnammo allo spasimo per riempire gli Ospiti di cortesie, tra l'altro ballando con Signore maternamente sempre disponibili e con le Signorine piene di salute che parevano sognanti principesse in attesa del principe azzurro.
E forse qualcuna delle più assidue in Accademia rischiava di averlo individuato davvero tra noi.
Il Corso Rostro, insomma, aveva confermato la sua fantasia e capacità di gestirsi a dovere, ottenendo consensi espliciti anche dai più musoni dei nostri tutori.
A onore dell'Accademia, dobbiamo riconoscere che nessuno dei nostri superiori ci impose mai di presentare preventivamente il copione, lasciandoci liberi di esprimerci senza censure. Gli stessi nostri Ufficiali d'inquadramento, che avevano assistito alla laboriosa preparazione della scena ed alle prove di recitazione, ebbero l'amabilità di fare in modo che l'argomento ed i dettagli dello sketch restassero inediti fino a giorno della trionfale premiére.
Ai neoarrivati del primo anno passammo poi il Pingue come da tradizione e completammo qualche giorno dopo l'evento facendo trovare loro sopra gli stipetti delle camerate, prima della nostra partenza per le vacanze natalizie dalle quali il corso appena arruolato era escluso, un affettuoso regalino di consolazione col beneaugurante fiocchetto rosso, il colore del Rostro.
 
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