Intercettori - Rostro 1956

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I Reparti
   L’arrivo dell’F.104 G ha segnato nell’Aeronautica Militare un salto di qualità tra l’epoca post-bellica, gli anni cinquanta, e i giorni nostri. Distacco che le linee della “classe 80” avevano certamente preparato, ma non completato. E’ l’aereo che ci ha insegnato a lavorare “bene”, che ci ha costretto a rinunciare al classico “fai-da-te”imparando quanto c’era da imparare presso le Scuole e le Agenzie internazionali, cosa che ha avuto poi naturale sviluppo con Tornado, Eurofighter e, oggi, Joint Strike Fighter. Ma, soprattutto, ci ha insegnato a volare in modo moderno, secondo standard continuamente verificati dai teams di valutazione alleati e nei frequenti scambi con l’estero, trasformando dei ragazzi in “piloti pronti al combattimento” della Nato, tutti uguali, sicuri e motivati. L’F.104 G ha svolto diversi ruoli, ben adattandosi a ogni mestiere. Ma la sua vera vocazione era fare l’intercettore puro, quello “mordi e fuggi”. Era stato progettato per questo, e si vedeva. Noi, piloti intercettori formati sul caccia ogni-tempo F. 86 K, ce ne accorgevamo subito. E con soddisfazione, perché con il nuovo aereo si realizzava un sogno. Con il K, vedere una scia alta e lontana significava frustrazione e rabbia. Sapevamo che dopo improbabili geometrie l’avremmo persa, o dopo lunghi inseguimenti – spesso vani – ci saremmo trovati “scannati” all’alternato. Con il G eri d’allarme in testata pista pronto in 2’, con il dito sullo starter. A volte vedevi già, lontana, la scia del target e….sirena, starter, piattaforma, spine, tettuccio, full A/B e dopo un minuto e mezzo ti trovavi sparato a 37 mila piedi, già supersonico e con il bersaglio a portata di mano. Bastava prenderlo.
         Ma l’F. 86 K era stato pur sempre il più sofisticato velivolo della sua generazione e questo lo aveva reso passaggio obbligato per tutti i piloti intercettori che dovevano convertirsi sull’F. 104 G.  A parte le novità, quali il post-bruciatore, le ciglia con controllo elettrico e manuale, il controllo elettronico del motore, i missili AIM 9B Sidewinder e il Tacan, la grande scoperta era l’uso del radar di intercettazione e tiro. Tutto ciò si ritrovava, più o meno e con alcune differenze – non sempre in meglio –  sull’F.104 G. Se prima di volare sul G era necessario fare sei voli sull’ F.104 F presso le Scuole della Luftwaffe (a Norwenich, e in seguito a Jever), anche per volare sul K era necessaria attività supplementare ognitempo, con un allenamento specifico di un centinaio di ore sui T/RT. 33 A della Squadriglia Bersagli, più una cinquantina di ore di Strumentale Operativo – rigorosamente in tendina – presso l’ex Scuola Caccia Ognitempo di Amendola.
Anche la tipologia delle missioni radar di mantenimento della combat-readiness, a parte le prestazioni cinematiche dei due velivoli, non differivano gran ché. I bersagli, normalmente un T/RT 33 A munito di “bomba” (un oggetto radarabile a forma di bomba fissato sotto la fusoliera) per i K o un altro “spillone” con i serbatoi supplementari per il G, simulavano le classiche minacce subsoniche e supersoniche “anni sessanta” del Patto di Varsavia. Nelle missioni basiche di intercettazione diurne o notturne per entrambi i tipi di velivolo l’unità di base era la coppia, dove il leader rispondeva ai comandi del guida caccia e il gregario seguiva in agganciamento radar (che avveniva già durante la salita) alla distanza di un paio di miglia, separandosi solo per reiterare in proprio l’attacco del leader, dopo che questo aveva dato il “break away”. Seguiva il riaggancio in formazione radar, per condurre con le stesse modalità gli attacchi successivi. La penetrazione normalmente avveniva in coppia o in sequenza, se il tempo, specie di notte, era davvero cattivo. Ma si volava sempre, purchè ci fosse un alternato. Da Istrana, con il K, c’era Aviano a portata di mano, normalmente buono. Ma da Cameri, con il G, dove spesso sotto il maltempo c’era la nebbia, l’alternato (Rimini, Grosseto, Aviano) era a 180 miglia, per cui, con Bingo 3.000 (carburante residuo obbligatorio), era consigliabile rimanere in quota finché non si era sicuri di atterrare. Le diversioni sull’alternato erano all’ordine del giorno, e anche questa era una bella scuola. Ai fini della tecnica di intercettazione ognitempo, a mio avviso il radar MG – 4 dell’F. 86 K, sebbene antiquato e tutto a valvole, era molto più flessibile del radar F. 15 A dell’F. 104 G, che aveva meno possibilità di aggiustamenti manuali.  Anche la portata in modalità aria-aria non differiva gran ché. Con entrambi la possibilità di effettuare stabili agganciamenti  normalmente non eccedeva la scala delle 10 miglia, con media di 5 - 8 miglia. Solo che con il K si volava al massimo a  Mach .9, mentre con il G, in certe esercitazioni, la velocità di attacco tendeva a Mach 2! L’F. 86 K che trovai al 51° era “ognitempo” perché aveva il radar e perché veniva usato come se lo fosse davvero. Ma per navigare disponeva solo di un ADF, una girobussola, un orizzonte artificiale e un’unica radio. Aveva però un buon trasponder, e gli operatori GCI/GCA erano dei veri professionisti. L’F.104 G, con Tacan, piattaforma, due radio, due orizzonti e la possibilità di una buona resa del radar in modalità aria-superficie era già più attrezzato, anche se la piattaforma, per le modalità di allineamento rapido utilizzate nelle partenze su allarme, non era affidabile e serviva, più che altro, a tenere “eretti” il radar e l’orizzonte primario. Nei temporali, però, il G fungeva da parafulmine, e, specie di notte, la sensazione non era affatto piacevole, con i  “fuochi fatui” verdi danzanti davanti al blindovetro. A volte, in queste condizioni, si accendeva la luce “instruments on emergency power”, che, con scarso apprezzamento da parte del pilota, significava perdita del radar, della piattaforma e, di conseguenza, dell’orizzonte artificiale primario e, non sempre, anche dell’autopilota. Riprendendo l’argomento “radar” e differenze tra i due velivoli, quello dell’F. 86 K era comandabile sia in automatico che a mano. Ma era in manuale che, diversamente dall’F. 104 G, dava il meglio di sé. Impugnando una piccola cloche, posizionata dietro il selettore di spinta (che in attacco si teneva sempre al massimo), si aveva l’impressione di prendere in mano l’antenna del radar e dirigerla a piacimento per illuminare al meglio il bersaglio come fosse una torcia elettrica, sia in elevazione che in azimuth. Questa possibilità era apprezzatissima quando, in seguito all’installazione dei due Sidewinder, non era più necessario condurre l’attacco a distanza ravvicinata e alla stessa quota del bersaglio come con i quattro cannoni da 20 mm, ma si usava la tecnica degli attacchi “zoom”, con quote differenziate anche di 5-7 mila piedi. In modalità “gun”, dopo l’agganciamento le informazioni fornite in distanza, prua e velocità relativa rispetto al bersaglio erano così accurate che, in co-altitude, dentro le nubi o di notte, era possibile avvicinarsi al bersaglio a distanza visiva, fino al riconoscimento. Il radar dell’F. 104 G questo non lo permetteva, tanto che, per motivi di sicurezza, anche gli attacchi in addestramento basico, i più semplici, si effettuavano sempre con una differenza di quota minima di 2.000 piedi.
   
      Le tattiche di impiego, con entrambi i velivoli, erano oggetto di aggiornamento continuo, a terra e in volo. Tempi di post-combustione, consumi, accelerazioni, tropopausa, temperature esterne e caratteristiche dei bersagli, raggi di virata, geometrie di attacco e emergenze erano la materia dei briefing quotidiani. Ricordo di aver passato ore a comparare l’inviluppo di volo del K a quello del Mig 17, e, successivamente, quello del G con il Mig 21. Bastava disegnarli con la stessa scala, sovrapporli, osservarli contro un vetro luminoso e risultava subito chiaro il “qui vinco….qui perdo”. Andava molto di moda allora, il manuale di tattiche del capitano John Boyd, che, reduce dalla Corea e dal Vietnam, aveva compilato il suo “Aerial Attak Study” e diffuso la teoria della “conservazione dell’energia”, ripresadal “SURE Project”  di Steve Reeves e Piero Trevisan, ben noto a tutti i centoquattristi di prima generazione. Ma la laurea di “combat ready” su F.104 G si conseguiva con le  MIP, le missioni profilo, nella loro espressione più complessa: le “Arco”. Un velivolo con serbatoi alari decollava da Cameri, saliva a 47 mila piedi e, volando a Mach 1.7, atterrava a Grazzanise dopo una ventina di minuti, o meno. Sulla rotta, veniva intercettato da coppie supersoniche di F. 104 G, con due missili al posto dei serbatoi alari, provenienti da Grosseto e dalla stessa Grazzanise. Sul percorso inverso (condizioni meteo di Cameri permettendo) da coppie di Grosseto e di Cameri. Mi sono divertito a sfogliare i miei vecchi libretti di volo, e confesso che a ogni volo corrisponde ancora un ricordo…. Volare sull’F.104 G, specie all’inizio dell’epopea, ci dava davvero la sensazione di compiere qualcosa di grande, di valido. Qualcosa di unico.
 
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