Giuramento - Rostro 1956

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LO GIURO  
 
 
                      Io qui fui sì stupito dall’evento
                      che vacillommi il core, se non erro,
                      e ragionavo solo con gran stento.
                         (Inferno nisidiano - Canto III°)



Le polemiche scoppiate a valle della decisione di dare al nostro corso non il nome Rex 2°,  bensì Rostro, decisione che aveva provocato anche commenti piuttosto critici da parte di alcuni organi di stampa, ripresero vivaci nei giorni immediatamente precedenti la cerimonia del nostro giuramento e battesimo, che aspettavamo con emozione.
Per tradizione, come era sempre avvenuto per ciascuno dei corsi che replicava il nome del rispettivo corso capostipite, anche noi avremmo dovuto avere come padrini i superstiti del corso omonimo arruolato 19 anni prima di noi. L’unico inconveniente stava nel fatto che il corso predecessore aveva un nome diverso dal nostro.
Il Rex si era letteralmente immolato durante le vicende belliche del 2° conflitto mondiale, e i suoi superstiti ancora in servizio attivo erano tutti destinati a raggiungere altissimi gradi nella Forza Armata.
Essi, con in testa il loro Capo Corso e Medaglia d’Oro al Valor Militare, l’allora Colonnello Giulio Cesare Graziani, all’atto della loro convocazione per la cerimonia del nostro giuramento e battesimo, si dichiararono comprensibilmente contrari ad assolvere per noi il ruolo di padrini e ad avallare in tal modo una decisione spregevole per l’orgoglio del Rex ed il sacrificio dei suoi gloriosi Caduti. Per loro, e qui assicuriamo il lettore, anche per noi, il corso Rex esisteva e avrebbe dovuto continuare ad esistere com’era nelle tradizioni aeronautiche. Nessuno poteva pretendere che essi chinassero il capo per consentire ad altri di trincerarsi dietro il “politically correct”, come si direbbe adesso.
Ci furono riunioni a tutti i livelli, inviti pressanti nei loro confronti seguiti da rifiuti sdegnati, preoccupazioni sui modi per superare l’impasse, paura di portare in piazza contrasti a livello istituzionale, fino al panico più completo.
Glielo fossero andati a dire, i responsabili di una decisione così infelice, a quelli del Rex, quando erano ai comandi di un S–79 a pelo dell’acqua, con a bordo parte dell’equipaggio deceduto o ferito per le cannonate nemiche, mentre stavano procedendo contro le navi inglesi determinati a lanciare il loro siluro (e poi la Vergine Lauretana avrebbe fatto il resto), glielo fossero andati a dire, dicevamo, che il nome del loro corso un giorno sarebbe diventato imbarazzante al punto da volerlo obliterare sotto una coltre di perbenismo istituzionale, e che loro sarebbero stati chiamati ancora una volta al sacrificio!
Anche noi, naturalmente, non restammo insensibili a questo problema. Eravamo da una parte orgogliosi di poterli avere come padrini, ma dall’altra facevamo nostro il loro stesso imbarazzo.
In sostanza, avremmo dovuto recitare la parte dei figli di N.N., battezzati alla riluttante presenza di padri putativi che avevano tutte le ragioni di rifiutarci, stanti i precedenti che stavano in sottofondo all’intera questione.
Alla fine subentrò un miracolo, ed il mattino del nostro giuramento il Rex si schierò al nostro fianco.
In quei momenti, noi ignoravamo che agli ufficiali del Rex, come si è sempre fatto con i militari, da opportuni livelli era pervenuto lungo la catena gerarchica un “ordine” perentorio di presenziare alla cerimonia, ed essi avevano obbedito come avevano fatto durante la guerra, nella quale l’Aeronautica per l’Italia si era disintegrata, con i suoi Comandanti in testa, lottando su tutti i fronti.     
Il Colonnello Graziani, venendo a parlarci il pomeriggio della vigilia della cerimonia, fu con noi estremamente corretto e non fece cenno alle pressioni subite, trattenendosi responsabilmente dal sciogliere le briglie al suo forte risentimento. Allo stesso tempo, consapevole che anche noi, in fondo, eravamo vittime di una decisione che ci pareva assurda, non ci lesinò incitamenti ed auguri per la nostra vita futura.
Noi lo ascoltammo come se fosse stato l’arcangelo Gabriele, ammirati da quanto lui e i suoi compagni avevano saputo fare, appena usciti dall’Accademia, in una lotta impari e cruenta, eseguendo non solo gli ordini, ma soprattutto i loro imperativi morali.
Fatto sta che il mattino successivo eravamo schierati a corsi completi sul lungomare di via Caracciolo, immobili sul presentat–arm ed impettiti nelle nostre uniformi da parata, di fronte alla tribuna delle autorità, ai nostri parenti venuti a festeggiarci e ad un’enorme folla di napoletani assiepati nelle aree transennate all’uopo predisposte.
Davanti a noi, su una pedana tappezzata d’azzurro, la Bandiera dell’Accademia Aeronautica sventolava alla brezza di mare, con la sua scorta armata presa, come noi, dall’importanza del momento.
Il Comandante dell’Accademia scese dalla tribuna e si pose a fianco del Tricolore, e scandì le parole solenni della formula del giuramento. Per qualche secondo, che sembrò un secolo,
indugiò con lo sguardo su ognuno di noi quasi a cercare sui nostri volti la conferma della nostra consapevolezza.  Quindi, con voce fiera, ci pose la domanda rituale:
“Allievi del corso Rostro, lo giurate voi?”   
Nel silenzio turbato solo dai richiami dei gabbiani, un possente “Lo giuro!” proruppe all’unisono da bocche e cuori, altrettanto possente del crepitio delle raffiche a salve sparate in quell’istante da alcune armi a ripetizione poste sul retro delle tribune.
Poi Mameli portò, con le sue note, il nostro grido lontano nel vento. Lo immaginammo sorvolare la penisola, scavalcare le montagne, arrivare su tutti i sacrari dei nostri Caduti, a  suggello dell’impegno da noi assunto.   
Ora davvero eravamo diventati uomini dell’Aeronautica Militare a tutti gli effetti!
La gente applaudiva, sventolava piccoli tricolori e qualche mamma non tratteneva la commozione.
Nessuno di noi avrebbe mai scordato quel momento.
Seguì la benedizione del labaro da parte del Cappellano militare, labaro che il capo corso del Rex affidò al nostro alfiere, che marzialmente lo portò nei ranghi.
Infine, mentre la banda dell’Aeronautica suonava in sordina la Canzone del Piave ed uno di noi leggeva la preghiera dell’Aviatore, l’orifiamma del corso Rostro si innalzò nel cielo di Napoli attaccata ad un pallone bianco usato per i sondaggi meteo dell’atmosfera.
Se qualcuno, chissà dove e quando, l’avesse ritrovata dopo la ricaduta al suolo e riconsegnata all’Accademia, l’avremmo conservata come segno beneaugurante per le fortune del Rostro.   
Anche la sfilata in parata che chiuse la cerimonia, la prima in pubblico per il Rostro, fu applauditissima da parte di tutti, specialmente dalle molte ragazze napoletane venute a guardarci.
Più tardi, al pranzo di corpo nella sala mensa allievi, le tensioni della vigilia si attenuarono e conoscemmo da vicino i nostri padrini, che si erano mescolati con noi nei vari tavoli. Chiedemmo così notizie dei nostri centenari, quelli cioè aventi le ultime due cifre di matricola dell’Accademia uguali alle nostre, ma una parte di noi apprese che il proprio centenario era purtroppo tra i Caduti del Rex.
Anche dai compagni del Col. Graziani non uscì alcuna parola di critica, e così fu per gli anni successivi, ma i rapporti del Rex con noi, condizionati da una partenza un po’ anomala, furono correttissimi, ma tiepidi. Fu così fino a quando toccò a noi, 19 anni dopo, tornare in Accademia per fare da padrini al Rostro 2°, alla presenza dei pochi del Rex ancora vivi.
Questi ultimi da quel momento in poi, avendo constatato come il Rostro si sentisse legato al Rex ed avesse insegnato a fare altrettanto al Rostro 2°, le lontane polemiche che abbiamo   narrato furono accantonate definitivamente. A quel punto, anche il Rostro aveva da ricordare compagni Caduti i cui nomi erano scolpiti, insieme a quelli del Rex, sulle stesse pareti di marmo della chiesa dell’Accademia e del Palazzo Aeronautica.
Le tradizioni di valore del Rex erano stato degnamente onorate.
E i corsi con la R divennero finalmente una cosa sola.

 

 
 
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