...i Maestri cantori.... - Rostro 1956

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...i Maestri cantori....

L'Accademia > Terzo anno
 
            I Maestri Cantori di Nisidberga
...episodio da dimenticare

 
Abbiamo già illustrato la quantità e varietà degli insegnamenti che Mamma Accademia ci aveva riservato, ma mai avremmo immaginato che ci sarebbero state impartite perfino lezioni di canto corale.
Dovete sapere che un giorno, mentre eravamo nella Palazzina Studi a ripassare le lezioni della giornata, il nostro Generale Comandante si era introdotto un attimo in una delle nostre deserte salette di ricreazione in cui, seduto al pianoforte addossato ad una parete, aveva abbozzato una serie di accordi da lui ideati per un maschio canto corale, del quale aveva già composto anche il testo.
Non c’era da stupirsi, vista la grande tradizione melodrammatica di cui mena vanto il il  nostro paese che, in particolare, con Giuseppe Verdi ha raggiunto vertici sublimi col Va Pensiero sull’Ali dorate e coll’Oh Signor che dal Tetto Natìo, quello che, secondo Giuseppe Giusti, alla vigilia della prima Guerra di Indipendenza tanti petti italici aveva scossi e inebriati.
Il gruppo dei suoi accompagnatori là riuniti, ascoltato in anteprima quel canto corale apparso loro pregevole, erano stati unanimi nell’azzardare che esso avrebbe senz’altro dovuto essere cantato dall’intero Battaglione Aspiranti e Allievi, magari a conclusione delle cerimonie formali interne ed esterne del nostro Istituto.
Dunque, avevano caldamente auspicato che si dovessero trovare quanto prima, nel cadenzato programma giornaliero delle attività, i ritagli di tempo per insegnare parole e musica di tale canto a tutti noi, sotto la guida di un Direttore d’orchestra, purché diplomato con pergamena avente al centro una chiave di violino dorata, spiccante in campo azzurro acustico, circonfusa da svariati diesis e bemolle policromi.
La regola era che i docenti accademici dovessero essere di prima scelta.
E, con la fortuna che talora gioca un ruolo determinante nei grandi mutamenti della storia, un siffatto Direttore era bell’e  pronto in Accademia.
Era l’Aviere Di Concetto, in servizio di leva non già con la sua bianca bacchetta destinata al “battere e levare”, bensì con la solida verga d’Avellano messa a manico della ramazza per la pulizia delle camerate, fino a quel momento affidate alle sue cure.
Solo così, si pensava nelle alte sfere, gli indocili appartenenti ai tre Corsi regolari, molti dei quali provatamente stonati, sarebbero stati guidati con mano ferma lungo gli antichi tratturi della musica.
È nato così quello che noi abbiamo poi chiamato il Coro dei Maestri Cantori di Nisidberga.
Diciamo subito che, specie noi del Rostro, eravamo un po’ contrariati non tanto per il coro in sé, quanto per il fatto che i ritagli di tempo da dedicare allo studio del canto composto dal nostro Numero 1 era stato sì trovato, ma a danno delle già modeste mezzorette di ricreazione.
Tirando poche frettolose boccate di nicotina dopo il veloce pranzo, raggiungevamo in marcia la sala cinema, alias chiesa domenicale per intonare con slancio virile il canto i questione:
 
Cantiamo Aviatori
il nostro inno,
inno di gloria e di valor.
Cantiamo, oh Aviator !
 
Si noti come dal plurale degli Aviatori adottato nel primo verso, si passasse al singolare dello stesso termine nel quarto.
Non a caso, dato che a cantare cominciavamo tutti, ma finivamo sempre in uno o due:
(Aoh! Che m’avete lasciato solo a cantà?)
Abbiamo voluto passare alla storia del Rostro solo le prime parole del testo per far comprendere a chi le leggesse che noi, amanti della retorica della “non retorica”, non avevamo accolto con entusiasmo questa idea. Anzi essa aveva finito per provocare un fatto divenuto nel tempo molto esilarante, che forse ha contribuito a metterla nel dimenticatoio, sia come inevitabile conseguenza del congedamento dell’Aviere Di Concetto (unico ad essere entusiasta di potersi occupare più di noi che dei bagni delle camerate avieri), sia della tiepida accoglienza ottenuta dalla nostra prima esibizione in qualità di Maestri Cantori di Nisidberga, tutti assai meno bravi di quelli tedeschi di Wagneriana memoria.
Eravamo un giorno a lezione di musica, stipati nel locale Cinema/Chiesa, con i nostri tre corsi allineati e coperti pronti a reagire all’attacco dato dal direttore già in piedi su uno sgabello e a braccio alzato, quando dalla porta laterale della sala era fulmineamente entrato il nostro burberissimo Comandante in seconda, che lo aveva prontamente stoppato col gesto della mano.
Tutti lo vedemmo e rimanemmo zitti, o meglio quasi tutti, perché i nostri due Gufi, quello friulano e quello trentino, come al solito, non avevano visto lo stop in quanto si erano accuratamente infrattati nel mucchio di colleghi per cantare un testo lirico tutto loro e comunque assai diverso da quello tutelato da copyright ufficiale.
Pertanto, nel silenzio tipicamente accademico in cui non veniva tollerato neppure il rumore di un temperamatite in funzione, si era levata dalle loro due bocche una sguaiata parola dissacrante comunemente usata per indicare cosa fetida da non pestare mai.
La reazione dei due dissacratori, per quanto rapida quanto stabilivano le regole dell’Istituto Medico Legale dell’Aeronautica per l’idoneità al servizio militare ed al pilotaggio, non aveva tuttavia impedito che tale parolaccia fosse comunque percepita in toto e senza equivoci, seppure priva dell’ultima vocale.
Nella caterva di punizioni da noi ricevute, sarebbe difficile ricordare le conseguenze di tale bravata.
 
Ma ci preme qui ricordare che questo è stato forse il solo caso in cui, nei confronti del nostro Capo, abbiamo avuto qualche critica che, comunque, non ha inficiato i rispetto per la sua persona, da lui ricambiato con gesti di affetto ed attenzione per il  nostro Corso, gesti che ci hanno sempre inorgoglito.
 
 
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